L’Albero del Drago nel mito e nella tradizione (2/2) | Punto Interrogativo n.35

Mauro Longo conclude il suo studio sulla suggestiva e misteriosa Dracaena, iniziato la scorsa settimana

L’Albero del Drago nel mito e nella tradizione (2/2)
di Mauro Longo

Il primo e più comune impiego del sangue di drago era comunque molto prosastico. Esso serviva come colorante negli opifici che producevano stoffe, tessuti e abiti. Il sangue di drago forniva un rosso più forte di quello prodotto dalle radici della robbia (Rubia tinctorum: la più antica fonte conosciuta per il rosso) ma meno brillante del vermiglio estratto dagli insetti della famiglia Kermesidae e meno cupo e vivido della porpora estratta dai murici.

Con questi ultimi due coloranti il sangue di drago riusciva a competere anche per preziosità, prestigio e difficoltà di reperimento. La resina della Dracaena aveva una tonalità forte e stabile, resistente al lavaggio e all’esposizione della luce.

La tintura avveniva in grossi recipienti di argilla o in vasche di conglomerato, nei quali il tessuto veniva immerso in una soluzione di acqua e colorante e agitato diverse volte, mentre il liquido veniva riscaldato fino a un potenziale punto di ebollizione. Il sangue del drago era una delle cosiddette “grandi tinte”, ovvero dei reagenti più preziosi e difficili da reperire, trattati dai mercanti e dai tintori più importanti. Veniva dapprima macerato nelle vasche e cotto fino a rilasciare una densa colorazione uniforme e poi attendeva i tessuti o le matasse di filato. La sua natura “mordente” non necessitava nemmeno di utilizzare altre sostanze fissanti durante la “mordenzatura” e ne faceva un prodotto a tutto tondo.

La resina veniva utilizzata anche per lacche, tinture per legno, pigmenti per cosmetici, tinte, ombretti e rossetti, coloranti per il vetro, il marmo e le pietre dure e tutti gli altri usi analoghi che l’ingegno degli artigiani antichi riusciva a ideare.

L’erboristeria e la medicina erano la seconda applicazione. Abbiamo già detto i mille usi e applicazioni che ne riportava la tradizione dei guaritori, degli speziali e dei medici antichi e medievali. Nei banchi e nei ricettari del passato il sangue di drago era sempre presente accanto a tutti gli altri rimedi conosciuti: estratti vegetali, polveri minerali, parti innominabili di animali e altri componenti più o meno magici: olio di mummia, bezoar e veleno di scorpioni. La tradizione di queste portentose funzioni rimane ancora oggi, nelle ricette wicca, nelle candele e negli incensi proprie della sensibilità new age e perfino nel vudu haitiano e americano.

L’alchimia utilizzava il sangue del drago come uno dei tanti simboli esoterici che si incontrano nel percorso iniziatico che conduce alla realizzazione della Grande Opera. Il rosso della resina di Dracaena alludeva alla Rubedo dei filosofi e degli occultisti, quell’itinerario chimico e spirituale che doveva portare l’uomo a superare i conflitti in una sintesi superiore ascendendo a nuovi fasti. Nel tipico linguaggio ermetico che è proprio dell’alchimia occidentale, il francese Nicolas Flamel così descrive questi passaggi, nella sua Explication des figures hiéroglyphiques:

Il rosso lacca del leone volante, simile al puro e chiaro scarlatto che ha il seme della rossa melagrana, dimostra che in tutto la Pietra si è realizzata, rettamente e genuinamente. Perché essa è quel leone che divora ogni pura natura metallica, e la trasforma in vera sostanza, in vero e puro oro, più fine di quello delle migliori miniere. Così trascina l’uomo fuori da questa valle di lacrime.

La Grande Opera si conclude proprio con il rosso acceso della Pietra Filosofale,  lo stesso rosso acceso dei fuochi viventi che ardono nell’Atanor, il crogiolo degli alchimisti, e dell’oro rosso a cui spesso gli occultisti alludono come sostanza simbolica dei processi alchemici.

Grazie a tutta questa sovrabbondanza di simboli implicati, gli Alberi del Drago vennero perfino ritratti in celebri e importanti opere d’arte del passato.

Ne Il Giardino delle Delizie di Hyeronimus Bosch, e in particolare nell’immagine visionaria del paradiso, si distingue probabilmente una Dracaena, pianta che trova posto, per il geniale pittore, perfino nel giardino dell’Eden.

Anche nel S. Giovanni a Patmos di Hans Burgkmair, il santo è ritratto tra due palme e, probabilmente, il fusto di una Dracaena.

Ultima nota di colore (rosso) è quella che pone una misteriosa e inquietante correlazione tra i draghi delle Canarie e i miti più antichi del mondo greco.

Nel Giardino delle Esperidi, luogo immaginario, ma identificato proprio con le Isole Canarie, era un misterioso Drago a custodire il giardino dei meravigliosi pomi dorati di Atlante, una sorta di paradiso mediterraneo posto ai confini occidentali del mondo. Se questi indizi alludano proprio alla nostra Dracaena draco non è in questa sede dato saperlo, ma segnaliamo infine un ultimo accenno a questo mitologema situato a Roma, nella celebre Porta Alchemica di Piazza Vittorio.

Su questo incredibile concentrato di simboli e geroglifici alchemici e filosofali, spicca ai nostri occhi una parte dell’epigrafe dell’architrave:

HORTI MAGICI INGRESSUM HESPERIUS CUSTODIT DRACO

“Il Drago delle Esperidi custodisce l’ingresso del giardino magico”.

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