L’Albero del Drago nel mito e nella tradizione (1/2) | Punto Interrogativo n.34

Con questo nuovo numero di Punto Interrogativo abbiamo il piacere di presentare un nuovo collaboratore della rubrica, che esordisce con un articolo particolare e intrigante, oltre che ottimamente documentato, presentato in due parti.
Prima di partire alla scoperta dell’Albero del Drago, le presentazioni:
Mauro Longo, 33 anni, è laureato in Archeologia e ha lavorato per dieci anni nel settore culturale e archeologico.  Giornalista pubblicista, è in organico nelle redazioni di alcune testate cartacee e online, nonché collaboratore esterno de Il Fatto Quotidiano.
Per lavoro e passione, si è occupato soprattutto di archeologia e tradizioni locali, antropologia culturale, mitologia comparata, simbolismo, folklore, letteratura di genere, narrativa interattiva e giochi di ruolo. Da quasi un anno vive in Irlanda.

 

L’Albero del Drago nel mito e nella tradizione (1/2)
di Mauro Longo
Dracaena Draco
La Dracaena draco è una pianta conosciuta in passato con un nome straordinario, che allude subito a magie e portenti antichi. Essa era l’Albero del Drago, un essere vivente ritenuto misterioso e prodigioso, che poteva essere inciso e liberare una delle sostanze più preziose dell’antichità: il “sangue del drago”.
I sapienti romani e greci conoscevano infatti un reagente chimico che utilizzavano in medicina e tintura, il cui colore e la cui densità, unite alle portentose caratteristiche, faceva loro pensare a qualcosa di preternaturale e magico, come appunto il sangue di un drago.
In realtà, quello che mercanti, carovanieri e speziali vendevano nelle grandi città del bacino mediterraneo come sangue del drago erano sostanze di diversa origine e natura. C’era sicuramente il cinabro, minerale da cui si estraeva il mercurio, attraverso la forma cristallina del solfuro di mercurio. Una mistura contraffatta che vendeva smerciata poi ai clienti meno accorti o a quelli che volevano risparmiare era composta da sangue di bue, sorbo secco e polvere di terracotta.

Dracaena cinnabri

La maggior parte dei carichi di sangue di drago “originale” (in questi casi chiamati anche “vero sangue di drago” o “cinabro vegetale”)  erano invece composti dalle resine essiccate o semiliquide estratte dalle differenti specie di quattro distinti generi botanici: Pterocarpus, Croton, Daemonorops e, appunto la Dracaena. Tra tutte queste modalità, l’incisione del tronco della Dracaena draco delle isole Canarie e della Dracaena cinnabari di Socotra (isola a sud dello Yemen) era senz’altro la più celebrata e diffusa fonte di sangue del drago dell’antichità.
Il sangue del drago viene nominato da alcuni testi naturalistici, come il Periplus maris erythraei, scritto probabilmente in greco da un mercante egiziano del I sec. d.C., il De Materia Medica del medico, farmacista e botanico Dioscoride Pedanio e la Naturalis Historia di Plinio il Vecchio. Proprio quest’ultimo ne racconta anche l’origine, narrando lo scontro letale tra un elefante e un drago e la nascita della pianta dal mescolarsi del sangue dei due animali.
Manoscritto di Dioscoride del X sec.
Al di là delle leggende più pittoresche, la resina della Dracena era certamente utilizzata come colorante e sostanza medicamentosa dai misteriosi Guanches, la popolazione indigena (in età storica) delle Isole Canarie. Ad Orotava, nell’isola di Tenerife, cresceva nel ’700 un esemplare di Dracaena draco, che il botanico tedesco
Von Humboldt
Von Humboldt descrive nei suoi “Quadri della Natura”. Studiando le dinamiche di accrescimento di queste piante e misurando in quell’esemplare delle dimensioni ragguardevolissime, Humboldt stimò che esso doveva avere approssimativamente 6000 anni di vita, qualificandolo come l’essere più antico in quel momento sul pianeta. Seppure questa ipotesi non sia stata mai confermata, i draghi delle Canarie, anche se vegetali concreti e non animali fantastici, sono tra gli esseri più interessanti e misteriosi dell’occidente europeo. Essi sarebbero stati tenuti in grande rispetto e considerazione dai Guanches, che amministravano alcune cerimonie pubbliche e religiose intorno alla base di questi giganti grigi.
Anche gli abitanti di Socotra avevano una predilezione per le dracene, che dicevano essere alberi benefici, in grado di scacciare i Djinn (geni, spiriti) malefici e che connettevano alle molte leggende sui draghi riportate su quell’esotica isola sperduta. Il nome stesso dell’isola, Suqatrah, pare sia una traslitterazione del toponimo arabo che sta per “mercato (suq) delle dracene (qatir)” ovvero l’isola era conosciuta come un grande porto- mercato frequentato principalmente per le dracene e la loro resina. Leggiamo da resoconti di leggende locali, che  esso veniva chiamato anche l’“albero dei due fratelli”, perché si diceva nato sulla tomba di Abele, ucciso da Caino. Il sangue che ne trasuda ricorderebbe proprio quel mitico episodio biblico. La sua linfa avrebbe per questo il potere di togliere la vita oppure di ridarla.
In maniera più concreta, gli indigeni delle Canarie e di Socotra usavano la resina dell’Albero del Drago come un rimedio per ogni problema della pelle e del sangue, per ferite che tardavano a coagulare, piaghe e febbri, diarrea e dissenteria, ulcere a bocca, stomaco, gola e intestino, perfino per irregolarità mestruali e traumi interni ed esso veniva raccomandato per abortire ma anche per ricostituente dopo una gravidanza.
Per gli stessi usi e per gli innumerevoli esperimenti di fisici classici, scienziati arabi, maghi bizantini e alchimisti rinascimentali, questa pianta fu importata dall’estremo occidente europeo o dall’isola yemenita spersa nell’Oceano Indiano.
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